"O la vita è
un’ avventura da vivere audacemente, oppure è niente"
(Helen
Keller, 1957)
All’oculista che con fare professionale cercava di
nascondere il disagio di comunicarmi che in breve sarei diventata
cieca, quando mi ero recata da lei per il solito controllo della mia
miopia, credo sia stata riservata la mia espressione più
indefinita, controversa, irripetibile… deve essersi trattato di un
misto di incredulità (è uno scherzo), sbigottimento (non può
essere vero), paura, anzi, no, terrore (nooooooooooooo), disperazione
(che ne sarà di me), scetticismo (non capisci un c…o, prenderò
il parere di qualcuno davvero competente), esitazione ( e se invece è
tutto vero), annichilimento (….per questo non ci sono parole, solo
qualche lacrima bruciante a rigare le guance diventate rigide come
sassi).
Ed infine anche un moto di compassione per quella
poveretta che si torceva le mani cercando di difendere la sua
professionalità reggendo senza fare una piega quella continua
metamorfosi sul mio volto…
Lo stordimento che è seguito mi ha fatto da
anestetico aiutandomi ad affrontare l’inevitabile sofferenza
provocata dall’attrito che tutto il mio essere opponeva a quella
che sentiva la più grande ingiustizia perpetrata ai miei danni.
Intanto “qualcuno” o “qualcosa” aveva
cominciato a cancellare il mio mondo… stavo perdendo
inesorabilmente la vista.
Rabbia, dolore, soprattutto paura… un intervento
delicato dall’altra parte del pianeta… delusione smarrimento e
ancora paura.
Ed infine… il sortilegio.
Mentre vagavo da un luminare all’altro, la mente
persa tra i rimpianti legati al passato e l’ansia per il
futuro, improvvisamente ho intuito che rifiutando quanto mi stava
capitando, rifiutavo una parte di me e rischiavo di perdere quello
che restava della mia vita.
Mi è stato chiaro che dovevo accettare quanto mi
stava accadendo e che se avessi amato questa mia nuova condizione la
prospettiva sarebbe cambiata. Ed è stato così.
Questa consapevolezza ha portato con sé la certezza
di essere artefice della mia vita.
L’umiliazione che inizialmente sentivo nel mostrarmi agli altri
con il mio incipiente handicap, a poco a poco si è trasformata in
osservazione distaccata del corpo che mi conteneva, che piangeva e
frignava come un bambino mentre percepivo nitidamente di essere
altro, un che di indescrivibile e indefinito che tuttavia “era”.
Da qualche parte ho letto: “ Ricorda che non
ottenere quel che si vuole, qualche volta si può rivelare un colpo
di fortuna”.
Ed è stato questo che ho realizzato: non aver
ottenuto ciò che tanto volevo (conservare la vista) poteva
trasformarsi , se non proprio in un colpo di fortuna, di certo in un
arricchimento.
La possibilità di avere una marcia in più….
E stringendo forte in cuore questa convinzione, ho
marciato senza esitazione verso quel buio tanto temuto. Raggiungerlo
con questa determinazione è stato come attraversare un portale
aldilà del quale gli occhi fisici perdevano la loro importanza per
lasciare spazio ad un nuovo modo di vedere.
Non mi sentivo del tutto identificata con la materia
di cui il mio corpo è fatto e in cui opera, non con la mente
che, come un motore mai spento, muove i suoi ingranaggi in un
incessante mormorio pretendendo di trovare risposte che hanno rifugio
nel silenzio, non nell’emotività inquilina abusiva del cuore, che
vi risiede senza alcun rispetto per il territorio occupato.
Percepivo chiaramente di essere “altro”. E a
questo “altro” ho sentito di voler dare il nome di anima.
Sentire in me la presenza di questa essenza divina
mi ha fornito una tribuna d’onore per guardare al resto con i miei
“nuovi occhi”.
Nell’arena della vita non vedevo più vincitori e
vinti, ma solo vincitori.
Lentamente sbiadiva la presunzione di credere che il
mondo debba muoversi secondo i bisogni della personalità o della
mente, mentre si delineavano sempre più nitidi i contorni di una
nuova consapevolezza: l’anima sa quello che le serve e sa come
farlo arrivare.
Ho smesso di fare attrito rifiutando come ingiusto
quello che mi stava capitando.
Ed ho provato ad accoglierlo con vera “fede”.
Fede nel mio percorso…
E a questo punto ho sentito nel cuore gratitudine
per “tutto” quello che era (ed è ) nel mio qui e ora. Anche le
lacrime quando affioravano prepotenti
Erano le benvenute, adesso che sapevo avevano un
sapore diverso.
Parlare di lacrime al passato non è onesto da parte
mia…
Mi riservano ancora la loro compagnia, anche se più
sporadicamente.
Talvolta sono silenziose e stanche, qualche altra
brucianti e copiose arrivano a lavare via la rabbia e lo sconforto.
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