domenica 11 novembre 2012

A Fari Spenti (prima parte)

"O la vita è un’ avventura da vivere audacemente, oppure è niente"
(Helen Keller, 1957)

All’oculista che con fare professionale cercava di nascondere il disagio di comunicarmi che in breve sarei diventata cieca, quando mi ero recata da lei per il solito controllo della mia miopia, credo sia stata riservata la mia espressione più indefinita, controversa, irripetibile… deve essersi trattato di un misto di incredulità (è uno scherzo), sbigottimento (non può essere vero), paura, anzi, no, terrore (nooooooooooooo), disperazione (che ne sarà di me), scetticismo (non capisci un c…o, prenderò il parere di qualcuno davvero competente), esitazione ( e se invece è tutto vero), annichilimento (….per questo non ci sono parole, solo qualche lacrima bruciante a rigare le guance diventate rigide come sassi).
Ed infine anche un moto di compassione per quella poveretta che si torceva le mani cercando di difendere la sua professionalità reggendo senza fare una piega quella continua metamorfosi sul mio volto…
Lo stordimento che è seguito mi ha fatto da anestetico aiutandomi ad affrontare l’inevitabile sofferenza provocata dall’attrito che tutto il mio essere opponeva a quella che sentiva la più grande ingiustizia perpetrata ai miei danni.
Intanto “qualcuno” o “qualcosa” aveva cominciato a cancellare il mio mondo… stavo perdendo inesorabilmente la vista.
Rabbia, dolore, soprattutto paura… un intervento delicato dall’altra parte del pianeta… delusione smarrimento e ancora paura.
Ed infine… il sortilegio.
Mentre vagavo da un luminare all’altro, la mente persa tra i rimpianti legati al passato e l’ansia per il futuro, improvvisamente ho intuito che rifiutando quanto mi stava capitando, rifiutavo una parte di me e rischiavo di perdere quello che restava della mia vita.
Mi è stato chiaro che dovevo accettare quanto mi stava accadendo e che se avessi amato questa mia nuova condizione la prospettiva sarebbe cambiata. Ed è stato così.

Questa consapevolezza ha portato con sé la certezza di essere artefice della mia vita.

L’umiliazione che inizialmente sentivo nel mostrarmi agli altri con il mio incipiente handicap, a poco a poco si è trasformata in osservazione distaccata del corpo che mi conteneva, che piangeva e frignava come un bambino mentre percepivo nitidamente di essere altro, un che di indescrivibile e indefinito che tuttavia “era”.
Da qualche parte ho letto: “ Ricorda che non ottenere quel che si vuole, qualche volta si può rivelare un colpo di fortuna”.
Ed è stato questo che ho realizzato: non aver ottenuto ciò che tanto volevo (conservare la vista) poteva trasformarsi , se non proprio in un colpo di fortuna, di certo in un arricchimento.
La possibilità di avere una marcia in più….

E stringendo forte in cuore questa convinzione, ho marciato senza esitazione verso quel buio tanto temuto. Raggiungerlo con questa determinazione è stato come attraversare un portale aldilà del quale gli occhi fisici perdevano la loro importanza per lasciare spazio ad un nuovo modo di vedere.
Non mi sentivo del tutto identificata con la materia di cui il mio corpo è fatto e in cui opera, non con la mente che, come un motore mai spento, muove i suoi ingranaggi in un incessante mormorio pretendendo di trovare risposte che hanno rifugio nel silenzio, non nell’emotività inquilina abusiva del cuore, che vi risiede senza alcun rispetto per il territorio occupato.

Percepivo chiaramente di essere “altro”. E a questo “altro” ho sentito di voler dare il nome di anima.

Sentire in me la presenza di questa essenza divina mi ha fornito una tribuna d’onore per guardare al resto con i miei “nuovi occhi”.
Nell’arena della vita non vedevo più vincitori e vinti, ma solo vincitori.
Lentamente sbiadiva la presunzione di credere che il mondo debba muoversi secondo i bisogni della personalità o della mente, mentre si delineavano sempre più nitidi i contorni di una nuova consapevolezza: l’anima sa quello che le serve e sa come farlo arrivare.
Ho smesso di fare attrito rifiutando come ingiusto quello che mi stava capitando.
Ed ho provato ad accoglierlo con vera “fede”. Fede nel mio percorso…
E a questo punto ho sentito nel cuore gratitudine per “tutto” quello che era (ed è ) nel mio qui e ora. Anche le lacrime quando affioravano prepotenti
Erano le benvenute, adesso che sapevo avevano un sapore diverso.

Parlare di lacrime al passato non è onesto da parte mia…
Mi riservano ancora la loro compagnia, anche se più sporadicamente.
Talvolta sono silenziose e stanche, qualche altra brucianti e copiose arrivano a lavare via la rabbia e lo sconforto.
Ma è vero… hanno un sapore diverso.

- Signoraquilone -

[Continua nella seconda parte]

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