E così ho iniziato
questa mia avventura… cercando di sopperire con nuovi gesti quelli
che mi venivano impediti da una visione sempre più imprecisa. Mi
costruivo un nuovo mondo, mentre quello vecchio veniva lentamente ed
inesorabilmente cancellato. La realtà esterna non era un insieme di
immagini, ma un misto di suoni, odori, percezioni tattili a me
sconosciuto.
La vista è un senso
prepotente e la sua presenza limita l’essenza dei suoi quattro
fratelli.
Ho continuato a svolgere
le mie mansioni domestiche affidandomi agli altri sensi scoprendo
sensazioni che mi erano fino a quel momento sfuggite. Sono riuscita a
recuperare gli hobbies quali il lavoro all’uncinetto, la lettura,
la navigazione su internet.
Ho collezionato
bernoccoli, slogature, lividi diffusi (attraverso una serie di
rocambolesche piroette dovute all’impossibilità di evitare tutti
gli ostacoli, mentre mi esercitavo a recuperare la mia indipendenza
negli ambienti in cui trascorrevo la maggior parte del mio tempo. Che
ci crediate o no il più delle volte, finivo col farmi tante risate
(per me è impossibile non avvertire l’ironia anche in situazioni
estreme). Visualizzavo me stessa come Mr. Magoo, il protagonista
ipovedente dei cartoni animati della mia infanzia, che si muoveva nel
mondo incurante del suo handicap e, pur cacciandosi in mille
pericoli, riusciva a tornare a casa sempre sano e salvo. E che
soprattutto non perdeva mai il sorriso.
Il mio giocare a mosca
cieca con il mondo suscitava talvolta compassione.
E questo in un certo
senso mi feriva… ma quella compassione che vedevo negli
atteggiamenti degli altri da me si rifletteva. Ero io a provarla
verso me stessa.
Una delle intuizioni
arrivate a corteo della mia disabilità fisica, mi suggeriva che non
possiamo riconoscere in qualcuno diverso da noi qualcosa che non è
in noi, non ne avremmo i mezzi.
L’unica realtà con la
quale ci è possibile relazionarci siamo noi stessi.
Quando interagiamo con
gli altri, in effetti stiamo parlando a noi stessi, dato che negli
altri non possiamo vedere la loro interezza, ma solo ciò che di essi
risuona in noi (in modo più o meno conscio).
E la loro risposta viene
da noi reinterpretata nella chiave in cui noi stessi ci rispondiamo.
Recitavo il ruolo
dell’eroina che combatte a mani nude contro il drago cattivo e allo
stesso tempo mi compiangevo, per i sacrifici e le rinunce che questa
parte comportava.
Così ormai mi è
evidente che ogni volta che mi pare di scorgere compassione nella
voce degli altri sono io che in quel momento la provo per me stessa. Questa cosa fa nascere dentro un sorriso che scioglie l’imbarazzo
in chi mi è di fronte.
Per quanto ad un tratto
mi sia sentita tradita da lei, il mio amore più grande resta quello
per la vita.. e quando ami così tanto sei disposta a perdonare e a
restituire fiducia all’oggetto del tuo amore. In essa io sento la
parte divina che è in me.
La vita non è l’opposto
della morte.
La vita è e quindi non
contiene un non è.
È infinita e perfetta.
L’esistenza terrena è
un’altra cosa… è un passaggio, una tappa del ritorno verso casa… quando il mezzo attraverso cui transitiamo arriva a destinazione
ci tocca scendere per prenderne un altro che avrà tutte le
caratteristiche idonee per farci continuare il nostro viaggio (si,
credo nella reincarnazione). E se ci tocca salire su un treno merci
anziché su un vagone di prima classe, non serve recriminare… il
luogo non è poi così importante, magari i disagi della scomodità
sono sopperiti dalla compagnia… e non ha senso vanificare il
percorso in attesa di scendere.
Il tranello di cui
anch’io sono stata vittima nella mia vita di prima, è quello di
essere indotti ad identificarsi con il mezzo che ci ospita.
Così consideriamo “fuori
serie” chi viaggia su di una Ferrari, mentre compiangiamo come
“sfigato” chi va in giro su una vecchia carretta.
Appartengo a chi crede
che ognuno ha per ciò che ”è”, ma questa mia fede non implica un
giudizio di valore sulla qualità apparente della esistenza e delle
condizioni di vita terrena di ciascun individuo.
Intorno a me sfrecciano
veicoli di lusso e fatiscenti carriole, ma ormai ho smesso di
giudicare.
Ogni anima sta procedendo
nel suo viaggio servendosi del mezzo che ha ritenuto più adatto per
il tragitto del suo adesso.
Nonostante a me sia stata
data in dote una sorta di utilitaria (con i fari difettosi per di più), davvero non sento invidia per chi sembra (e sottolineo sembra)
essere stato più fortunato di me.
Amo questa mia
sgangherata carretta perché col suo andare incerto, quasi a scatti
direi, rende il mio viaggio mai noioso anche se un po’ scomodo a
volte, e quei fari spenti rendono il viaggiare nella notte
un’avventura senza uguali e restituiscono giusto valore alla luce
della luna.
- Signoraquilone -
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