domenica 11 novembre 2012

A Fari Spenti (seconda parte)

E così ho iniziato questa mia avventura… cercando di sopperire con nuovi gesti quelli che mi venivano impediti da una visione sempre più imprecisa. Mi costruivo un nuovo mondo, mentre quello vecchio veniva lentamente ed inesorabilmente cancellato. La realtà esterna non era un insieme di immagini, ma un misto di suoni, odori, percezioni tattili a me sconosciuto.
La vista è un senso prepotente e la sua presenza limita l’essenza dei suoi quattro fratelli.
Ho continuato a svolgere le mie mansioni domestiche affidandomi agli altri sensi scoprendo sensazioni che mi erano fino a quel momento sfuggite. Sono riuscita a recuperare gli hobbies quali il lavoro all’uncinetto, la lettura, la navigazione su internet.
Ho collezionato bernoccoli, slogature, lividi diffusi (attraverso una serie di rocambolesche piroette dovute all’impossibilità di evitare tutti gli ostacoli, mentre mi esercitavo a recuperare la mia indipendenza negli ambienti in cui trascorrevo la maggior parte del mio tempo. Che ci crediate o no il più delle volte, finivo col farmi tante risate (per me è impossibile non avvertire l’ironia anche in situazioni estreme). Visualizzavo me stessa come Mr. Magoo, il protagonista ipovedente dei cartoni animati della mia infanzia, che si muoveva nel mondo incurante del suo handicap e, pur cacciandosi in mille pericoli, riusciva a tornare a casa sempre sano e salvo. E che soprattutto non perdeva mai il sorriso.
Il mio giocare a mosca cieca con il mondo suscitava talvolta compassione.
E questo in un certo senso mi feriva… ma quella compassione che vedevo negli atteggiamenti degli altri da me si rifletteva. Ero io a provarla verso me stessa.
Una delle intuizioni arrivate a corteo della mia disabilità fisica, mi suggeriva che non possiamo riconoscere in qualcuno diverso da noi qualcosa che non è in noi, non ne avremmo i mezzi.
L’unica realtà con la quale ci è possibile relazionarci  siamo noi stessi.
Quando interagiamo con gli altri, in effetti stiamo parlando a noi stessi, dato che negli altri non possiamo vedere la loro interezza, ma solo ciò che di essi risuona in noi (in modo più o meno conscio).
E la loro risposta viene da noi reinterpretata nella chiave in cui noi stessi ci rispondiamo.
Recitavo il ruolo dell’eroina che combatte a mani nude contro il drago cattivo e allo stesso tempo mi compiangevo, per i sacrifici e le rinunce che questa parte comportava.

Così ormai mi è evidente che ogni volta che mi pare di scorgere compassione nella voce degli altri sono io che in quel momento la provo per me stessa. Questa cosa fa nascere dentro un sorriso che scioglie l’imbarazzo in chi mi è di fronte.

Per quanto ad un tratto mi sia sentita tradita da lei, il mio amore più grande resta quello per la vita.. e quando ami così tanto sei disposta a perdonare e a restituire fiducia all’oggetto del tuo amore. In essa io sento la parte divina che è in me.
La vita non è l’opposto della morte.
La vita è e quindi non contiene un non è.
È infinita e perfetta.

L’esistenza terrena è un’altra cosa… è un passaggio, una tappa del ritorno verso casa… quando il mezzo attraverso cui transitiamo arriva a destinazione ci tocca scendere per prenderne un altro che avrà tutte le caratteristiche idonee per farci continuare il nostro viaggio (si, credo nella reincarnazione). E se ci tocca salire su un treno merci anziché su un vagone di prima classe, non serve recriminare… il luogo non è poi così importante, magari i disagi della scomodità sono sopperiti dalla compagnia… e non ha senso vanificare il percorso in attesa di scendere.
Il tranello di cui anch’io sono stata vittima nella mia vita di prima, è quello di essere indotti ad identificarsi con il mezzo che ci ospita.

Così consideriamo “fuori serie” chi viaggia su di una Ferrari, mentre compiangiamo come “sfigato” chi va in giro su una vecchia carretta.
Appartengo a chi crede che ognuno ha per ciò che ”è”, ma questa mia fede non implica un giudizio di valore sulla qualità apparente della esistenza e delle condizioni di vita terrena di ciascun individuo.
Intorno a me sfrecciano veicoli di lusso e fatiscenti carriole, ma ormai ho smesso di giudicare.
Ogni anima sta procedendo nel suo viaggio servendosi del mezzo che ha ritenuto più adatto per il tragitto del suo adesso.
Nonostante a me sia stata data in dote una sorta di utilitaria (con i fari difettosi per di più), davvero non sento invidia per chi sembra (e sottolineo sembra) essere stato più fortunato di me.

Amo questa mia sgangherata carretta perché col suo andare incerto, quasi a scatti direi, rende il mio viaggio mai noioso anche se un po’ scomodo a volte, e quei fari spenti rendono il viaggiare nella notte un’avventura senza uguali e restituiscono giusto valore alla luce della luna.
- Signoraquilone -


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